Vedendo
l'etichetta, la prima cosa che ho pensato è stata: Che scimmia è?
Una
volta assaggiato, la prima cosa che ho pensato è stata: Che gran bel vino!
Di
una bevibilità goduriosa... gustoso ed agile al palato; si presenta nel bicchiere
con un colore rubino vivace e di bella trasparenza. Il profumo è delicato e non
invasivo, di quelli che ti accarezzano le narici, e sussurra sentori di
ciliegia e fiori incorniciati da cenni di macchia mediterranea e tabacco dolce.
Elegante!
A
tavola la bottiglia è finita in un batter d'occhio: segno oggettivo della sua
bontà!
Ecco
uno di quei vini che mi ricorda come il Sangiovese non sia solo Toscana.
In
cantina ne ho un'altra bottiglia! Prima di questo stappo, il proposito era di regalarla
a un amico... ma visto che è così buona, quasi quasi me la tengo!
Ma
no! Scherzo! Il vino è condivisione :)
P.S.:
La scimmia in etichetta, da quanto ho potuto capire facendo una ricerca sul
web, simboleggia il Sangiovese e suggerisce un ritorno alle origini... da un
articolo pubblicato un paio di settimane fa su Bibenda7 (ed al quale rimando
per un approfondimento) leggo: "Noelia
Ricci fu colei che, negli anni Settanta, ebbe l'intuizione di reimpiantare il
Sangiovese nella proprietà di famiglia, Villa La Pandolfa, nel cuore della
valle del Rabbi di Predappio ... Come il primate è, in qualità di nostro
antenato più prossimo, il vincolo che ci lega al mondo animale, così
rappresenta per il Sangiovese un ritorno a "casa" e alla terra che
l'ha generato: l'Appennino Tosco-Romagnolo. Un ritorno alle origini che
accomuna uomo e vitigno, attraverso una semplice bottiglia di vino".
Secondo alcuni, infatti, il Sangiovese sarebbe
originario proprio dell'Appennino Tosco-Romagnolo e, a sostegno di tale ipotesi,
il suo nome (dal latino "Sanguis Jovis", ossia "sangue di Giove")
pare derivare dal Monte Giove, sito nei pressi di Sant'Arcangelo di Romagna,
dove i monaci cappuccini producevano un vino rosso apprezzato anche da papa
Leone XII.
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