mercoledì 20 dicembre 2017

Il report dell'evento "Wine Fitness: Valle d'Aosta"


La sera del martedì 19 dicembre, nella suggestiva cornice di un salotto settecentesco, sito al piano nobile di un palazzo storico della città di Frattamaggiore (NA), si è svolto un altro incontro targato Wine Fitness... un programma di eventi che, organizzati dall'Associazione Culturale "Enodegustatori Campani", sono volti all'approfondimento di vitigni e zone vitivinicole attraverso l'assaggio guidato di più bottiglie delle principali aziende del territorio.


Il focus è stato fatto questa volta sulla più piccola regione d'Italia, ossia la Valle d'Aosta che, situata all'estremo nord-ovest tra le Alpi, presenta un territorio prevalentemente montuoso ed un clima continentale, caratterizzato da inverni freddi e nevosi ed estati brevi e calde.

Favorita da condizioni climatiche molto più favorevoli delle odierne, il popolo dei Salassi ha coltivato la vite in questa regione da tempi remoti e fino all'arrivo dei conquistatori romani che, tuttavia, investirono anche loro energie nella cura della vite. Nei secoli successivi la viticoltura valdostana sopravvisse alle carestie e alle invasioni barbariche, e la fama dei vini qui prodotti si estese anche al di là dei confini regionali; tuttavia, nella seconda metà del XIX secolo l'arrivo della fillossera provocò ingenti danni al vigneto di questa regione che, anche se non del tutto distrutto, vide la perdita di qualche varietà, come l'antico Muscatel de Saint-Denis, e la successiva introduzione di vitigni francesi e piemontesi.

La viticoltura valdostana si concentra lungo la valle della Dorea Baltea, fiume che attraversa la regione orizzontalmente piegando poi a sud al confine con il Piemonte. Si tratta di una viticoltura che possiamo definire "eroica": non poche sono, infatti, le fatiche di chi si prende cura delle viti, coltivate spesso ad altezze vertiginose (che in alcune zone superano anche i 1200 metri) su terrazzamenti ricavati su ripidi pendii montani e sostenuti da muretti di pietra e mattone.

La piccolissima superficie vitata della Valle d'Aosta è frammentata in moltissime proprietà e solo poche aziende vantano un vigneto di dimensioni superiore ad un ettaro. Contrariamente a quanto si possa immaginare, sono le uve a bacca rossa a farla da padrone nei vigneti di questa regione, dove il sistema di allevamento della vite più diffuso è la pergola valdostana, sostenuta da colonne in pietra e pali in legno.

Ad aprire le danze sono stati due bianchi prodotti nell'Alta Valle e ottenuti da uve raccolte nei vigneti più alti d'Europa, ai piedi del Monte Bianco: si tratta, infatti, di due Blanc de Morgex et de la Salle, che nascono da viti di Prié Blanc coltivate a "piede franco", ossia senza ricorrere all'innesto, perché di notte il terreno ghiaccia non consentendo così alla fillossera di sopravvivere.

Il primo è un 2015 di Cave du Mont Blanc de Morgex et de La Salle azienda che, fondata nel 1983, conta 19 ettari vitati nel territorio dei comuni di Morgex e La Salle.
Di questo vino, dal freddo colore giallo paglierino con riflessi verdolini, vengono prodotte circa 50'000 bottiglie l'anno; la maturazione avviene in acciaio, al naso esprime sentori di frutta a polpa bianca, fiori gialli, agrumi ed erbe alpine, mentre al gusto è di un'acidità tagliente, tanto da ricordare qualche Asprinio.

Il secondo vino degustato, prodotto in circa 32'000 bottiglie l'anno, è ottenuto da viti coltivate a pergola bassa, secondo i principi dell'agricoltura biologica, da Pavese Ermes.
L'anno di raccolta delle uve è il 2012 ed il vino, anch'esso maturato in solo acciaio, si presenta di un colore un po' più carico rispetto al precedente, mostrando inoltre maggiore complessità al naso, dove emergono note minerali, di frutta a polpa gialla e di miele di eucalipto... di maggiore struttura e persistenza all'assaggio, mostra un'acidità ben presente ma i cui spigoli sono stati smussati dal tempo.

Ci siamo, quindi, spostati nella Bassa Valle, dove il vigneto valdostano risente dell'influenza del vicino Piemonte: infatti, il vitigno più coltivato è il Nebbiolo, qui chiamato "Picoutener" (ossia, dall'acino piccolo e tenero). Abbiamo fatto un focus su sui vini prodotti a Donnas, una sottozona che in epoca romana fu centro di transito e sosta sulla vie delle Gallie, così come testimoniato anche da un antico tratto di strada lastricata e da un arco intagliato nella roccia (ritratto sulle etichette dei vini qui prodotti). In questo piccolo paese valdostano ha sede la Caves Cooperatives de Donnas che, costituita nel 1971, conta oltre ottanta soci che coltivano circa 25 ettari vitati su pendii montani che non consentono alcun tipo di meccanizzazione.

Abbiamo degustato il Pinot Gris 2016 che, prodotto in sole 3'500 bottilgie l'anno, ha mostrato un naso piuttosto intenso e complesso, descritto da sentori minerali e floreali, da note di frutta a polpa gialla e cenni di erbe aromatiche. Di buona struttura all'assaggio, il sorso è scandito da un ingresso morbido e da un finale sapido, lungo e ammandorlato.

E' stata poi la volta del Rosé "Larmes du Paradis" 2016. Questo vino, che ammalia con il suo colore rosa cerasuolo, è ottenuto da uve Nebbiolo; al naso è intenso, con scintillii di frutta rossa fresca (fragola, ciliegia) e mela su note floreali e minerali. Di discreta struttura all'assaggio, presenta una buona freschezza gustativa ed una componente alcolica ben integrata; i tannini sono sfumati ma percepibili ed il finale caratterizzato da bei ritorni floreali.

Siamo passati poi all'assaggio dei vini rossi con il Barmet 2016, ottenuto da uve Nebbiolo per l'85% e da uve Freisa e Neyret per il restante 15%. Prodotto in circa 13'000 bottiglie l'anno, questo vino richiama nel nome le piccole e fresche cantine che, ricavate sotto le rocce, sono disseminate tra i vigneti della zona. Dal colore rosso rubino e di bella trasparenza, si presenta al naso con sentori di frutti di bosco e viola, note silvestri e cenni di pepe. All’assaggio è gustoso e dai tannini delicati, di discreta struttura e buona persistenza.
Un vino fresco… che si lascia piacevolmente bere anche nelle calde sere di primavera-estate.

Infine, abbiamo assaggiato un Donnas 2014 che, ottenuto da uve Nebbiolo per il 90% e da uve Freisa e Neyret per il restante 10%, matura per 12 mesi in botti di rovere da 25 ettolitri. Prodotto in circa 33'000 bottiglie l'anno, questo vino (definito "il fratello montano del Barolo") si presenta nel bicchiere di colore rosso rubino, tendente al granato; al naso è intenso e avvolgente, con sentori di frutti di bosco sorretti da note balsamiche, quasi mentolate, e di spezie dolci che, dopo alcune rotazioni nel bicchiere, lasciano poi spazio ai toni più scuri della liquirizia. All’assaggio è di buona freschezza, scorre via agilmente nonostante la struttura piuttosto importante, i tannini sono fitti ma non spigolosi; il vino lascia infine la bocca con una piacevole scia di aromi e una romantica sensazione dal gusto rupestre.


Una piacevole degustazione di vini caratterizzati, tra l'altro, da un ottimo rapporto qualità/prezzo... il che, soprattutto al giorno, d'oggi non è cosa da non tenere in conto!

Come sempre, un grande ringraziamento va a Pierpaolo e Mena Damiano, aspiranti Sommelier Enodegustatori, per la gentile e calorosa ospitalità.


Per restare aggiornati sui prossimi eventi dell'associazione "Enodegustatori Campani" seguite il sito e la pagina facebook.

Grazie e alla prossima!






venerdì 24 novembre 2017

Il report dell'evento "Wine Fitness: Alto Adige"

La sera del giovedì 23 novembre, nella suggestiva cornice di un salotto settecentesco, sito al piano nobile di un palazzo storico della città di Frattamaggiore (NA), si è svolto un altro incontro targato Wine Fitness... un programma di eventi che, organizzati dall'Associazione Culturale "Enodegustatori Campani", sono volti all'approfondimento di vitigni e zone vitivinicole attraverso l'assaggio guidato di più bottiglie delle principali aziende del territorio.


Il focus è stato fatto questa volta sull'Alto Adige che, posto a ridosso delle Alpi e quasi interamente montuoso, rappresenta il territorio vitivinicolo più settentrionale d'Italia, mostrando tra l'altro forti influssi culturali e linguistici tedeschi (basta leggere le etichette dei vini per farsi un'idea!). 

Attraversato dal fiume Adige, il Südtirol presenta un clima dai tratti continentali o alpini, a seconda dell'altitudine, caratterizzato da estati calde ed inverni rigidi, nonché da forti escursioni termiche giornaliere che donano ai vini freschezza e profumi.

In quest'affascinante regione, che in antichità apparteneva alla "Raetia", le origini della viticoltura risalgono al 700 a.C. ed i vini retici ebbero in epoca romana molti illustri estimatori; sembra, inoltre, che proprio in queste terre gli antichi romani conobbero l'uso della botte in legno per la conservazione ed il trasporto del vino, che fino ad allora era riposto in anfore di terracotta.

Dato il clima, favorite sono le uve resistenti al freddo, come Sauvignon Blanc e Pinot Nero; oltre alle uve internazionali (piuttosto diffuse sul territorio), troviamo varietà autoctone, da cui si ottengono tra l'altro interessanti risultati, come Schiava, Lagrein e Traminer Aromatico. Tipico nei vigneti è poi il sistema di allevamento a "pergola", che ben si presta alle esigenze della viticoltura di montagna, permettendo di proteggere i grappoli dal forte irraggiamento estivo.

Ma passiamo, ora, ai vini degustati...

Ad aprire le danze è stato il Pinot Bianco 2016 di Terlan che, fondata nel 1893 nell'omonima località vicino Merano, rappresenta una delle cooperative di produttori più all'avanguardia di tutta la Penisola. Questa cantina conta più di centoquaranta soci che si prendono cura complessivamente di oltre centosessanta ettari di vigneto, siti ad un'altitudine compresa tra i 250 e i 900 metri sul livello del mare, ed offre al pubblico una produzione annua che supera abbondantemente il milione di bottiglie.
Prodotto in circa 110'000 bottiglie l'anno, questo vino affina per 5-7 mesi sui lievi in acciaio e rappresenta molto bene il territorio di origine. Si presenta, infatti, nel bicchiere con un vivace colore giallo paglierino con sfumature verdoline, mentre al naso si fa apprezzare per i suoi eleganti sentori floreali e di frutta a polpa bianca, cui seguono note di erbe aromatiche su un lieve sottofondo minerali e fumé; al gusto mostra buona freschezza e discreta sapidità... un vino sulla cui piacevolezza tutti siamo stati d'accordo! Infatti, la bottiglia a tavola è finita subito... segno oggettivo della sua bontà!
Dei vini prodotti da questa cantina ed ottenuti da questo vitigno ho potuto constatare la longevità in una degustazione fatta qualche tempo fa... sono dei bianchi da paura!

Tutti sanno dire "Ti amo", pochi sanno dire Gewürztraminer... come avrete intuito il secondo vino in degustazione è ottenuto da questo vitigno aromatico la cui zona di origine è rivendicata dall'Alto Adige, dal comune di Termeno in particolare. Il nome tedesco con cui il Traminer Aromatco è conosciuto deriva  dal termine "gewürz", che significa "speziato".  
Dal colore giallo paglierino carico con riflessi verde-oro, il Gewürztraminer 2015 di Terlan, la cui produzione si attesta intorno alle 110'000 bottiglie l'anno, si esprime al naso con sentori di albicocca, frutta esotica, fiori bianchi, uva spina ed erbe aromatiche; di buona morbidezza al gusto, mostra un finale leggermente amarognolo.

Siamo, poi, passati all'assaggio dei vini rossi con il buonissimo Blauburgunder 2012 di Garlider... a mio avviso, il più buon Pinot Nero prodotto in Italia e del quale ho già avuto modo di apprezzare più volte la bontà! (Vedi post precedente)
Ci troviamo nella Valle Isarco, la zona vitivinicola più a nord d'Italia, dove Christian Kerschbaumer, secondo i principi dell'agricoltura biologica, coltiva quattro ettari di vigneto su pendenze vertiginose che arrivano al 55% e ad altezze che vanno dai 540 agli 800 metri s.l.m.
Prodotto in poco più di un migliaio di bottiglie l'anno, questo vino, che matura per nove mesi in barrique, si è fatto notare per la delicatezza del colore e l'eleganza dei suoi profumi (al naso è un susseguirsi di sentori di sottobosco, frutta rossa e spezie), nonché per il piacevole equilibrio gustativo: risultando, inoltre, per nulla amarognolo, a differenza di tanti vini prodotti in zona a partire da questo vitigno... un capolavoro!

Quarto vino in degustazione è stato il Lagrein 2013 di Hartmann Donà che, enologo della Cantina di Terlano dal 1994 al 2002, ha iniziato a produrre vino per conto proprio a partire dal 2000.
Il vitigno autoctono da cui questo vino d'autore è ottenuto deriva il nome da Lagaria, cittadina della Magna Grecia situata sulle coste ioniche della Lucania, dove anticamente si produceva il "Lagarintos"... vino ottenuto da viti che verosimilmente furono poi diffuse nel nord Italia. Il robusto vino rosso "Dunkel" che se ne ottiene, riservato ai nobili e al clero, fu oggetto di rivendicazione durante la rivolta contadina del 1526; precedentemente, inoltre, nel 1370 l'Imperatore Carlo IV ne vietò la distribuzione tra le compagnie militari.  
Maturato per un anno in botti di legno, si presenta di colore rosso cupo nel bicchiere, mentre al naso sfoggia i suoi peculiari sentori di brunella alpina (cioccolato fondente e vaniglia), note di frutti di bosco e viola; piuttosto robusto e persistente appare poi all'assaggio, mostrando una fitta trama tannica.

Abbiamo, quindi, concluso la serata con l'assaggio del Torilan 2015 di Terlan, vino rosso ottenuto da uve Merlot per l'85% e da uve Cabernet Sauvignon per il restante 15%, che ci ha dato modo di ricordare come la zona dell'Alto Adige fosse considerata fino alla fine del XIX secolo una sorta di cantina dell'impero austro-ungarico: nel desiderio di produrre vini simili a quelli francesi, i nobili impiantarono vitigni internazionali, come Chardonnay, Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon.
Prodotto in circa 16'000 bottiglie l'anno, questo vino matura per 7-10 mesi in botti di legno grande; dal colore rosso rubino carico, si esprime al naso con sentori di ciliegia e frutti di bosco su un sottofondo di note speziate, mentre al palato appare ben equilibrato, nonostante la giovane età, pieno e piacevole.

Un bel colpo d'occhio sul panorama enoico altoatesino!

Un grande ringraziamento a Pierpaolo e Mena Damiano, aspiranti Sommelier Enodegustatori, per la gentile e calorosa ospitalità.


Per restare aggiornati sui prossimi eventi dell'associazione "Enodegustatori Campani" seguite il sito e la pagina facebook.

Grazie e alla prossima!




giovedì 16 novembre 2017

Il Negroamaro riassunto in 7 punti...


Foto presa del web (Fonte: www.lorenzovinci.it)

1. Vitigno a bacca rossa autoctono della Puglia, il Negroamaro secondo alcuni deve il nome alla ripetizione della parola "nero" in due lingue (“niger” in latino e “mavros” in greco antico, da cui il dialettale “maru”), secondo altri invece il suo nome deriva dal termine dialettale “niuru maru”, con riferimento al colore nero del grappolo e al sapore amaro del vino che se ne otteneva, dovuto al fatto che in epoche passate la macerazione sulle bucce era molto prolungata e al termine della fermentazione erano state rilasciate molte sostanze amaricanti.  

2. Le origini di questo vitigno sono incerte e l'ipotesi più probabile è che sia stato importato in antichità da coloni greci sulla costa ionica; da questa zona poi la sua coltivazione si estese in molti territori del sud Italia.

3. La sua diffusione è attualmente quasi del tutto concentrata in Puglia, dove viene utilizzato per la produzione sia di strutturati vini rossi che di eleganti rosati; contemplato da numerose denominazioni pugliesi, in particolare nel Salento, lo troviamo vinificato sia in purezza sia mescolato con piccole percentuali di altre uve, come Malvasia Nera di Lecce e Malvasia Nera di Brindisi.

4. Presenta un grappolo corto e serrato, con acini dalla buccia pruinosa, spessa e consistente, di colore nero con venature viola; la sua produzione è abbondante tanto che per le produzioni di qualità deve essere limitata con potature drastiche e sistemi di allevamento poco espansi, come l'alberello. La raccolta delle sue uve avviene in genere tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre.

5. Utilizzato in passato per la produzione di vini da taglio, che servivano a colorire e a irrobustire i vini del nord, negli ultimi tempi si è fortunatamente assistito ad una sua riscoperta; sono sempre di più, infatti, i produttori che scelgono di vinificarlo in purezza, ottenendo tra l'altro risultati notevoli... tanto che per il proprio nome, una famosa band pop rock salentina si è ispirata a questo vitigno chiamandosi "Negramaro".

6. Vinificato in rosso, dà un vino dal colore molto scuro, quasi impenetrabile, che si presenta al naso con sentori di ciliegia sotto spirito, frutti di bosco, cuoio, tabacco e pepe; corposo e caldo al gusto, dotato di buona acidità e tannini ben presenti, chiude leggermente amarognolo.
Vinificato in rosato, dà vini dal colore buccia di cipolla, con delicati sentori fruttati e floreali, dal gusto pieno e al contempo fresco e leggero.

7. I vini rossi che se ne ottengono si abbinano a polpette al sugo, carne alla brace, nonché con piatti tradizionali pugliesi come gli "gnumareddi" (involtini di frattaglie, tipici della cucina pugliese e lucana) e le "sagne 'incannulate" (pasta fatta in casa) servite con zuppa di ceci; i vini rosati li abbineremo, invece, con salumi, formaggi freschi, uova, paste asciutte e risotti a base di pesce o di verdure, nonché a carni bianche.


Se hai trovato questo post interessante... dà un'occhiata al mio ebook "Nozioni su vini, vitigni e zone vitivinicole d'Italia".





venerdì 20 ottobre 2017

Il report dell'evento "Wine Fitness: Barbera"


La sera del giovedì 19 ottobre, nella suggestiva cornice di salotto settecentesco, sito al piano nobile di un palazzo storico della città di Frattamaggiore (NA), si è svolto un altro incontro targato Wine Fitness... un programma di eventi che, organizzati dall'Associazione Culturale "Enodegustatori Campani", sono volti all'approfondimento di vitigni e zone vitivinicole attraverso l'assaggio guidato di più bottiglie delle principali aziende del territorio.

Foto di Salvatore Aroldo

Il focus è stato fatto questa volta sulla Barbera; tale vitigno deriva forse il nome dal termine medievale "Bàrberus", che significa irruente, aggressivo, indomito, così come è il vino giovane che da questa varietà se ne ottiene; secondo lo storico Aldo di Ricaldone, invece, l'origine del nome è da ascriversi alla somiglianza della Barbera con il "vinum Berberis", ossia il succo fermentato di Berberi, o Crespino, che presenta un bel colore rosso ed un gusto acidulo e astringente: tale succo, usato in cucina o come medicinale, era molto diffuso in Piemonte nel Medioevo.
A differenza di un passato piuttosto recente, che ha visto la produzione di vini "rustici", duri e acidi, oggigiorno da uve Barbera si ottengono vini pregevoli, in alcuni casi davvero notevoli, sia di pronta beva sia di più lungo affinamento.

Le prime testimonianze storiche della coltivazione della Barbera risalgono al XVIII e XIX secolo e la vogliono originaria del Monferrato: infatti, ampelografi dell'epoca la descrivono come "vitis vinifera montisferratensis"... Ed è stato proprio un vino prodotto in questo territorio ad aprire le danze... Stiamo parlando, infatti, del Rossore 2013 di Cascina Iuli, azienda fondata nel 1998 da Fabrizio Iuli, ottenuto da viti coltivate a 380 metri sul livello del mare secondo i principi dell'agricoltura biologica. Prodotto in circa 8'000 bottiglie l'anno, la fermentazione avviene in acciaio ed è operata da lieviti indigeni; dopo 12-15 giorni di macerazione sulle bucce, il vino matura poi in barrique di secondo passaggio di rovere francese per 16 mesi; successivamente è imbottigliato senza subire chiarifica né filtrazione. Appare nel bicchiere vestito di un intenso colore rosso rubino dai riflessi ancora violacei; esprime al naso sentori di ciliegia e viola incorniciati da sottili note speziate, mentre al gusto si fa notare per la grande freschezza ed il finale piacevole che invoglia alla beva.

E' stata poi la volta della Barbera dei Colli Tortonesi 2008 "Vignalunga" di Boveri, un nettare prodotto in sole 5'000 bottiglie l'anno e che matura per 18 mesi in barrique e tonneau. Una vera chicca, che si trovava tra l'altro in una fase davvero felice! Dal colore rosso granato mostra al naso una complessità plasmata dal tempo, dove emergono eleganti sentori di spezie, note di caffè, cacao e tabacco; di buona struttura e molto equilibrato al gusto, chiude con un lungo finale impreziosito da eleganti aromi di bocca.

Con il terzo vino in degustazione ci siamo spostati nelle Langhe... abbiamo, infatti, degustato la Barbera d'Alba "Vigna Francia" 2015 di Conterno, che prende il nome dal famoso cru di Serralunga. Questo vino, che matura per 20 mesi in botte, mostra sin da giovane una grande complessità olfattiva con profumi che arrivano così fitti ed intrecciati al naso da renderne difficile l'identificazione: dapprima note animali, selvatiche, cui seguono sentori di frutti e fiori rossi su un sottofondo di note di grafite, cioccolato fondente e caffè; in bocca è avvolgente, di grande piacevolezza gustativa ed elegante persistenza.

Abbiamo poi proseguito la serata con l'assaggio della Barbera d'Alba 2012 di Rinaldi, che è risultato il vino più carnoso e gastronomico della serata. Dall'intenso colore rosso rubino, si esprime al naso con sentori di frutta rossa e fiori, cui fanno da contorno note di agrumi e di pepe; di buona struttura al gusto... è un vino che richiama il cibo a tavola!

Ci siamo, infine, trasferiti nell'Astigiano, dove a Canelli, città famosa per il Moscato, nei vigneti dei fratelli Coppo è la Barbera a fare la parte del leone... abbiamo, infatti, degustato la Barbera d'Asti "Pomorosso" 2004, che matura per 14 mesi in barrique. Dal colore granato carico, impenetrabile, ed ancora molto vivace nonostante l'età, appare quasi sfacciato nella sua esuberanza olfattiva: a sentori di china si alternano note di rabarbaro, spezie orientali, caffè e cenni di viola essiccata su un sottofondo balsamico; al gusto i tannini sono levigati e, nonostante il gran corpo, il sorso mostra buona scorrevolezza. Di lunghissima persistenza... è la più potente Barbera mai assaggiata!


Un grande ringraziamento a Pierpaolo e Mena Damiano, aspiranti Sommelier Enodegustatori, per la gentile e calorosa ospitalità.


Per restare aggiornati sui prossimi eventi dell'associazione "Enodegustatori Campani" seguite il sito e la pagina facebook.

Grazie e alla prossima!







domenica 15 ottobre 2017

La Barbera riassunta in 7 punti


Foto presa dal web (Fonte: www.oenogrape.com)

1. Vitigno a bacca rossa autoctono del Piemonte, "la" Barbera in questa regione è indicata al femminile per tradizione.

2. Anche se le sue origini sono antichissime, le prime testimonianze storiche della sua coltivazione risalgono al XVIII e XIX secolo e la vogliono originaria del Monferrato: infatti, ampelografi dell'epoca la descrivono come "vitis vinifera montisferratensis".

3. La facile adattabilità a differenti tipi di clima e di terreno, la produzione abbondante, l'alta resa in mosto e la ricchezza in materia colorante sono stati i fattori che hanno portato la Barbera ad essere uno dei vitigni più diffusi in Italia. Trova la sua zona d'elezione in Piemonte, dove rende conto di quasi della metà del vino prodotto ogni anno; dà i migliori risultati nelle Langhe, dove si produce la corposa Barbera d'Alba, nel Monferrato, dove spiccano le denominazioni Barbera d'Asti e Nizza, e sui Colli Tortonesi. Diffusa anche in Lombardia, dove questa varietà dà prova della sua versatilità, essendo utilizzata soprattutto per la produzione dei vini frizzanti dell'Oltrepò Pavese, spesso in assemblaggio con Croatina e Bonarda; così come avviene anche in Emilia Romagna, per la produzione dei vini dei Colli Piacentini e del Gutturnio. La si trova, tuttavia, anche in altre regioni italiane e la sua coltivazione si spinge fino al Sud, dove è utilizzata per aumentare l'acidità dei vini rossi locali. Il Barbera è anche il vitigno italiano più esportato all'estero, soprattutto in Argentina e in California.

4. Secondo lo storico Aldo di Ricaldone, il nome di questo vitigno deriva alla somiglianza della Barbera con il "vinum Berberis", ossia il succo fermentato di Berberi, o Crespino, che presenta un bel colore rosso ed un gusto acidulo e astringente: tale succo, usato in cucina o come medicinale, era molto diffuso in Piemonte nel Medioevo. Secondo un'altra ipotesi, il nome deriva invece dal termine medievale "Bàrberus", che significa irruente, aggressivo, indomito, così come è il vino giovane che da questa varietà se ne ottiene.

5. Presenta un grappolo compatto e alato, con acini dalla buccia pruinosa, sottile e consistente, di colore blu intenso; la raccolta delle sue uve avviene in genere verso la fine di settembre, prolungandosi talvolta agli inizi di ottobre. L'elevata acidità presente nei suoi acini, anche in piena maturazione, consente di ottenere vini con buona propensione per l'invecchiamento.

6. A differenza di un passato piuttosto recente, che ha visto la produzione di vini "rustici", duri e acidi, oggigiorno da uve Barbera si ottengono vini pregevoli, in alcuni casi davvero notevoli, sia di pronta beva sia di più lungo affinamento (e sempre più spesso maturati in barrique di rovere francese). Si tratta in genere di vini dal colore rubino intenso, di buon corpo e con un'acidità evidente; quando giovani, presentano al naso sentori di frutta rossa, marasca e mirtilli, note di arancia rossa e di violetta, sfumature di pepe nero; con l'affinamento emergono poi al naso sentori di sottobosco, china, cacao, liquirizia e tabacco, spesso su un sottofondo balsamico.

7. I vini da uve Barbera: se giovani, ben accompagnano salumi, pasta al ragù, carni alla griglia e formaggi a media stagionatura; se invecchiati, possono abbinarsi anche a selvaggina, brasati, agnolotti e tajarin al tartufo.


  
Se hai trovato questo post interessante... dà un'occhiata al mio ebook "Nozioni su vini, vitigni e zone vitivinicole d'Italia".





domenica 8 ottobre 2017

Il report dell'evento "Wine Fitness: Verdicchio"


La sera del giovedì 05 ottobre, presso il ristorante pizzeria "La Frasca" a Pozzuoli, si è svolto un altro incontro targato Wine Fitness... un programma di eventi che, organizzati dall'Associazione Culturale "Enodegustatori Campani", sono volti all'approfondimento di vitigni e zone vitivinicole attraverso l'assaggio guidato di più bottiglie delle principali aziende del territorio.

Foto di Salvatore Aroldo

Il focus è stato fatto questa volta sul Verdicchio; tale vitigno deriva il nome dal colore dell’uva che, anche a completa maturazione, non perde mai le sfumature verdoline, trasmettendole poi al vino. Le origini di questo vitigno sono sconosciute; tuttavia, dato che recenti studi genetici ne hanno evidenziato una parentela molto stretta con il Trebbiano di Soave, si è ipotizzata la sua introduzione nelle Marche da parte di coloni veneti giunti alla fine del '400 per ripopolare le campagne dopo un'epidemia di peste. Proprio in questa regione dell'Italia Centrale, questo vitigno ha trovato la sua terra d'elezione: viene, infatti, vinificato in purezza nelle zone di Matelica e di Jesi.

Il primo vino assaggiato è stato il Verdicchio di Matelica 2016 di Gagliardi, prima azienda a vendere il vino di questa zona in bottiglia; ottenuto da viti coltivate ad un'altitudine compresa tra i 300 e i 600 metri, questo vino si caratterizza al naso per i freschi sentori di menta e frutta a polpa bianca ancora acerba, mentre al gusto esprime grande freschezza, che ben bilancia l'importante componente alcolica, e piacevolezza gustativa.

Il secondo vino degustato è stato il Verdicchio di Matelica 2015 di Colle Stefano, azienda sita a Rustano di Castelraimondo, che coltiva le sue viti seguendo i principi dell'agricoltura biologica. Ottenuto da vigne collocate ad oltre 400 m s.l.m., questo vino, che matura per 4 mesi in acciaio sulle fecce fini, mostra rispetto al precedente una maggiore maturità al naso, dove richiama i profumi più caldi e avvolgenti della pesca e del fieno, e al gusto, apparendo più rotondo e persistente.

Ci siamo lasciati sempre più indietro le alture dell'Appennino per dirigerci verso il Mare Adriatico... abbiamo, infatti, proseguito la serata con il Verdicchio dei Castelli di Jesi "di Gino" 2015 della Fattoria San Lorenzo, un'azienda dalla lunga storia vitivinicola e guidata oggi da Natalino Cagnoletti coadiuvato dall'enologo Hartmann Donà. Del primo ce ne fa un ritratto la Guida Slowine 2016: "Natalino è tenace, crede nei principi di naturalità e nel minimo intervento sia in vigna, sia in cantina, con fermentazioni spontanee e lente".
Prodotto in circa 30'000 l'anno, questo vino si fa apprezzare per i sentori floreali e di pera, nonché per il suo gusto equilibrato.

E' stata poi la volta del buonissimo Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2016 di La Staffa, azienda guidata da quello che è considerato l' "enfant prodige" della zona, ossia dal giovanissimo Riccardo Baldi, il cui vino ci ha piacevolmente sorpreso.
Ottenuto da viti coltivate secondo i dettami dell'agricoltura biologica, questo vino esprime al naso eleganti note floreali e di frutta a polpa bianca su un lieve sottofondo di erbe aromatiche e di pietra focaia, mentre al gusto colpisce per la grandissima sapidità senza, tuttavia, risultare mai amaro.

Infine, abbiamo messo alla prova le capacità di invecchiamento dei vini ottenuti da uve Verdicchio... abbiamo, infatti, assaggiato il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva "Campo delle Oche" 2009 di Fattoria San Lorenzo. Mitico vino, prodotto in sole 11'000 bottiglie l'anno e lasciato a maturare sui lieviti per ben 18 mesi in vasche di acciaio, si è lasciato ammirare nel bicchiere per il suo colore oro antico, assolutamente vivo e non spento! Ha esordito poi al naso con sentori di distillato (whisky), miele, spezie e cioccolato bianco; morbido al gusto nella prima parte di bocca, è andato poi via piacevolmente e tipicamente amarognolo, nonché omaggiato da una lunga scia di aromi.


Per restare aggiornati sui prossimi eventi dell'associazione "Enodegustatori Campani" potete anche seguire la pagina facebook.

Grazie e alla prossima!





mercoledì 4 ottobre 2017

Il Verdicchio riassunto in 7 punti


Foto presa dal web

1. Vitigno a bacca bianca dalle origini sconosciute, il Verdicchio deriva il suo nome dal colore dell’uva che, anche a completa maturazione, non perde mai le sfumature verdoline, trasmettendole poi al vino.

2. Largamente coltivato nelle Marche, dove è conosciuto da moltissimo tempo (le prime testimonianze della sua coltivazione risalgono al XVI secolo), questo vitigno difficilmente si adatta altrove.

3. Dato che recenti studi genetici ne hanno evidenziato una parentela molto stretta con il Trebbiano di Soave, si è ipotizzato che il Verdicchio sia stato introdotto nelle Marche da coloni veneti giunti alla fine del '400 per ripopolare le campagne dopo un'epidemia di peste.   

4. Troviamo questo vitigno in purezza nelle denominazioni Verdicchio dei Castelli di Jesi, Verdicchio di Matelica ed Esino Bianco.

5. Il Verdicchio presenta un grappolo di medie dimensioni dotato di una o due ali ed acini dalla buccia sottile di colore giallo verdastro. Nella zona più interna di Matelica, dove matura piuttosto lentamente, la vendemmia si svolge di solito nei primi giorni di ottobre, mentre sulle colline di Jesi la raccolta delle uve avviene negli ultimi dieci giorni di settembre.

6. Si tratta di un varietà versatile dal punto di vista enologico: dal Verdicchio, infatti, oltre ad ottimi bianchi fermi, si ottengono anche spumanti, decisamente freschi al gusto e dai profumi floreali,  e vini dolci; vinificato in acciaio dà in genere vini freschi e di pronta beva, mentre da fermentazioni in legno e vendemmie tardive si ottengono vini strutturati, longevi, e complessi al naso, dove esprimono eleganti sentori di anice e fiori bianchi, note di frutta secca e pietra focaia, mentre al gusto, si caratterizzano per la ricca sapidità e il finale piacevolmente amarognolo.

7. Negli anni ‘50 la famiglia Angelini, proprietaria della Fazi Battaglia, bandì un concorso che aveva come scopo la realizzazione di una bottiglia che avrebbe caratterizzato la commercializzazione del Verdicchio; nel 1953, l’architetto milanese Antonio Maiocchi disegnò quella che diventerà ben presto la bottiglia a forma di anfora e che ancora oggi è associata al Verdicchio; la forma ad anfora fu scelta in ricordo dei recipienti tipicamente usati dagli etruschi e anche l’etichetta riportava caratteri che ricordavano la scrittura etrusca, sottolineando la volontà di mantenere il legame di questo vino con la sua storia.


Se hai trovato questo post interessante... dà un'occhiata al mio ebook "Nozioni su vini, vitigni e zone vitivinicole d'Italia".



venerdì 21 luglio 2017

Il report dell'evento "Wine Fitness: Greco di Tufo"


La sera del martedì 18 luglio, sulla fresca terrazza di un antico palazzo a corte, sito nel centro storico della città di Frattamaggiore (NA), si è svolto un altro incontro targato Wine Fitness... un programma di eventi che, organizzati dall'Associazione Culturale "Enodegustatori Campani", sono volti all'approfondimento di zone vitivinicole attraverso l'assaggio guidato di più bottiglie delle principali aziende del territorio.




Il focus è stato fatto questa volta sul Greco di Tufo... una delle quattro DOCG della Campania.

I vini di questa denominazione sono prodotti in Irpinia (l'antica terra dei lupi) da uve Greco, ottenute da viti coltivate su terreni argilloso calcarei ricchi di zolfo. E' da sapere che a portare nel territorio di Tufo le prime viti di Greco, allora chiamato "Greco del Vesuvio" o "Greco di Somma",  fu Scipione di Marzo, costretto nel 1647 a lasciare il suo paese natale di San Paolo Belsito (vicino Nola) per sfuggire alla peste. Nei territori di Tufo e degli altri comuni circostanti questo vitigno ha poi trovato la sua zona d'elezione. I di Marzo con il passare del tempo divennero fra i più grandi proprietari terrieri della zona... e la loro cantina, dove ancora oggi vengono prodotti ed affinati i vini, è nelle grotte e nei cunicoli medievali scavati nel tufo delle mura di cinta del paese. Sopra la cantina, il palazzo fortificato di famiglia, mirabile esempio architettonico dell'epoca, domina il paese.

L'anno scorso, l'associazione "Enodegustatori Campani" organizzò una serata di degustazione dedicata proprio a Cantine di Marzo; sicché, in compagnia del simpaticissimo produttore, il Marchese Ferrante di Somma (discendente della famiglia di Marzo), abbiamo avuto modo di degustare quattro annate del Greco di Tufo "Franciscus"... così chiamato in onore di Francesco di Marzo che nel 1866, mentre era a caccia nelle sue terre, vide dei pastori bruciare delle pietre per riscaldarsi... si trattava di zolfo! Da qui, l'inizio di un'importante attività mineraria di zolfo naturale, che diede lavoro ad oltre 500 persone fino agli inizi degli anni '80 del '900 quando le miniere si esaurirono.

In questa serata abbiamo voluto, invece, dare spazio ad altre cantine della zona, attraverso l'assaggio di sei superbe bottiglie.

Ad aprire le danze è stato un vino prodotto nel territorio del comune di Tufo; si tratta del Greco di Tufo 2015 "Miniere" di Cantine dell'Angelo, azienda di proprietà della famiglia Muto, giunta con Angelo alla terza generazione di viticoltori. Si tratta di un vino ricco al naso e al gusto, intenso e persistente... ma che necessita di un po' di tempo per aprirsi al meglio nel bicchiere. Tale vino è ottenuto da viti coltivate con metodi agricoli a basso impatto ambientale su suoli ricchissimi di zolfo... i vigneti nascono, infatti, su una parte di un'antica miniera.

Secondo vino in degustazione è stato il Greco di Tufo 2015 dell'azienda Amarano che, sita a Montefredane in contrada Torre, si avvale della consulenza dell'enologo Carmine Valentino. Questo vino è apparso più immediato rispetto al precedente, mostrando al naso sentori più freschi, di frutta tropicale e a polpa bianca, e al gusto un corpo più slanciato e spigoloso.

Ha fatto poi seguito l'assaggio del Greco di Tufo 2015 di Pietracupa, azienda di Sabino Loffredo sita a Montefredane in contrada Vadiaperti. Questo vino, ottenuto da viti dislocate tra i 400 e i 550 metri sul livello del mare, sosta otto mesi sui lieviti ed è prodotto in circa 12'000 bottiglie l'anno... una garanzia!

Quarto vino in degustazione è stato il Greco di Tufo 2014 "4 20 Quattro Venti" dell'azienda Petilia, il cui nome significa "piccola patria" e riprende il toponimo di un accampamento greco che sorgeva in antichità proprio a Campofiorito, località di Altavilla Irpinia dove è sita l'azienda. Questo vino, ottenuto da viti adagiate a 600 metri sul livello del mare, sulla mansarda dell'areale della DOCG, si è mostrato in forma stupenda, regalando al naso note citrine, sentori di fiori bianchi e di erbe aromatiche, e presentando al palato un corpo affilato, caratterizzato da una spiccata acidità e da una sapidità quasi graffiante.

E' stata poi la volta del Greco di Tufo 2013 "Tornante" dell'azienda Traerte, il cui nome significa "tra le strade di montagna"; quest'azienda di recente fondazione (2011), sita a Montefredane in contrada Vadiaperti, si avvale della grandissima esperienza di Raffaele Torisi. Il vino in questione rappresenta, a mio modesto parere, una delle più superbe espressioni di Greco mai assaggiate! Prodotto in sole 2'000 bottiglie l'anno, mostra grande complessità al naso, dove si apprezzano in particolare note di miele di eucalipto su un lieve sottofondo fumé, ed un gusto estremamente gradevole e persistente... un vero nettare!

Infine, abbiamo degustato il Greco di Tufo 2009 "pietra rosa" della cantina Di Prisco che, sita a Fontanarosa (piccolissimo paese dell'Irpinia molto vicino a Taurasi), si avvale della consulenza dell'enologo Carmine Valentino. Questo vino, ottenuto da uve raccolte tardivamente da viti coltivate fino a 650 metri sul livello del mare nel vigneto di Montefusco, resta sulle fecce grosse per circa 90 giorni e poi per altri 90 sulle fecce fini ed ha dato prova di come il Greco sappia ben resistere alle ingiurie del tempo, assumendo con gli anni complessità.


Sempre un grande ringraziamento a Pierpaolo e Mena Damiano, aspiranti Sommelier Enodegustatori, per la gentile e calorosa ospitalità.


Per restare aggiornati sui prossimi eventi dell'associazione "Enodegustatori Campani" seguite il sito e la pagina facebook.

Grazie e alla prossima!







sabato 1 luglio 2017

Il report dell'evento "Wine Fitness: Il Fiano del Cilento"


La sera del giovedì 29 giugno, presso il ristorante pizzeria "La Frasca" a Pozzuoli, si è svolto un altro incontro targato Wine Fitness... un programma di eventi che, organizzati dall'Associazione Culturale "Enodegustatori Campani", sono volti all'approfondimento di zone vitivinicole attraverso l'assaggio guidato di più bottiglie delle principali aziende del territorio.


Il focus è stato fatto questa volta sui vini prodotti nel Cilento a partire da uve Fiano.

Siamo nella parte meridionale della Campania, in provincia di Salerno, in una terra ricca di storia, così come testimoniato dal Parco Archeologico di Paestum, e di bellezze naturali, fonte d'ispirazione da sempre per poeti e cantori; una terra la cui descrizione voglio lasciare proprio ad una poesia tratta dal sito dell'azienda Viticoltori De Conciliis:

Questa terra...

Insritta tra i monti e il mare
talvolta trasale di luce
talvolta è intrisa d'ombra

s'inerpica su colline di macchia,
trame complicate di rocce indecifrabili,
e improvvisamente si apre al mare
nell'azzurro incontro con il cielo

L'occhio di chi arriva o di chi va via
volge alla meraviglia
talvolta all'inganno
mai alla noia...

In questa vasta terra, che si estende da Agropoli a Sapri, su terreni argilloso calcarei si coltiva già da alcuni decenni il Fiano, antichissimo vitigno a bacca bianca, che trova la sua terra d'elezione in Irpinia, dove dà vita a una delle quattro DOCG della Campania, ma che sa dare emozioni anche quando coltivato altrove, così come testimoniato dalle bottiglie cilentane degustate.

Ad aprire le danze è stato il "Donnaluna" 2016 dell'aziendaViticoltori De Conciliis, marchio storico della viticoltura cilentana, che a Prignano Cilento coltiva ben 21 ettari secondi i principi dell'agricoltura biologica. Prodotto in circa 20'000 bottiglie l'anno, questo Fiano, non filtrato e maturato in solo acciaio, ha mostrato un naso delicato che, con sentori appena accennati di fiori e frutta a polpa bianca, fa da contraltare ad un sorso piuttosto strutturato.

E' stato poi servito il "Kràtos" 2016 dell'azienda di Luigi Maffini che, sita a Giungano, coltiva 15 ettari di vigneto anch'essa secondo i principi dell'agricoltura biologica, ottenendo ogni anno circa 100'000 bottiglie, sulle cui etichette compare lo scenario del golfo di Punta Liscosa. Questo Fiano, il cui nome in greco antico vuol significare "forza", "potere", si ottiene da viti adagiate su dolci colline affacciate sul mare nel territorio del comune di Castellabate... a mio modesto parere è davvero un gran bel vino: ricco di profumi al naso (frutta esotica, menta, note minerali) ed appagante al gusto.

A seguire, abbiamo degustato "Heraion" 2016 dell'azienda I Vini del Cavaliere, che vede i suoi 4 ettari vitati nell'area del Parco Nazionale del Cilento, a Capaccio Paestum, e che vuole omaggiare nel nome il nonno di Giovanni Cuomo (attuale proprietario), ossia il Cavaliere Francesco. Questo Fiano, prodotto in sole 7'000 bottiglie l'anno, matura in solo acciaio ed esprime al naso intensi sentori di frutta esotica, banana in particolare, cui seguono note di erbe aromatiche e frutta secca, mentre al gusto appare pieno e ben strutturato.

E' stato poi la volta del "Tresinus" 2015 dell'azienda San Giovanni, fondata da Mario Corrado e Ida Budetta... due professionisti che hanno deciso di cambiare vita e trasferirsi dalla città di Salerno a Punta Tresino di Castellabate, scommettendo così su una impervia proprietà acquista alla fine degli anni '70 dal padre di Mario. E nel degustare questo Fiano, prodotto in sole 3'000 bottiglie l'anno, mi vien da dire che la scommessa è vinta! Si tratta, infatti, di un vino di rara finezza, dai sentori sussurrati e dalla sapidità struggente, marina. Una vera chicca!

Ultimo vino degustato è il Valentina 2016, prodotto da una delle aziende vitivinicole tra le più antiche del Cilento (basti pensare che il primo vigneto è stato impiantato nel 1938), oggi alla terza generazione di viticoltori; sita a Rutino, l'azienda di Alfonso Rotolo conta circa 7 ettari vitati che si spingono fino a 500 metri sul livello del mare. Questo Fiano, dedicato alla figlia, viene prodotto in sole 4'000 bottiglie l'anno dopo una breve sosta di pochi mesi in barrique; presenta un naso complesso ed un sorso equilibrato, dove l'importante componente alcolica (14%) è ben integrata nella struttura.

Un'altra piacevole serata trascorsa degustando gran belle bottiglie in buona compagnia... cosa volere di più?


Per restare aggiornati sui prossimi eventi dell'associazione "Enodegustatori Campani" seguite il sito e la pagina facebook.

Grazie e alla prossima!





Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...