La vendemmia dell'Asprinio (www.vinimagliulo.com) |
"Ma l'incanto delle vigne, così drappeggiate a lunghi e altissimi e
folti festoni da un pioppo all'altro! Immense pareti di verzura, tese
verticalmente: che il sole, attraversandole, trasforma in vasti arazzi
luminosi, dai meravigliosi frastagli indecifrabili. E le contorsioni, gli
intrichi, i grovigli dei rami, nella loro vegetale, apparentemente immota,
vitalità, nei loro complicati abbracci intorno ai fusti diritti dei pioppi,
hanno qualche cosa di mostruoso ed animalesco." Così, nel suo libro "Vino al Vino", Mario Soldati descriveva
le "alberate aversane", disegnate da viti centenarie di Asprinio, che
negli
anni '60 coprivano un vigneto che si estendeva su ben 16'000 ettari, ma che
oggi arriva a ricoprirne poco meno di 200.
1.
L'Asprinio è un vitigno a bacca
bianca coltivato in passato in Campania già dagli Etruschi e diffuso nell'Agro
Aversano; recenti studi di analisi molecolare lo vogliono un biotipo del Greco.
2.
Si tratta di una varietà dalla spiccatissima acidità, da cui deriva appunto il
nome. Gli acini, così come anche i
grappoli, sono piccoli e la loro maturazione avviene tra la fine di settembre e
la prima decade di ottobre.
3.
Nell’Agro
Aversano, passeggiando sui terreni sabbiosi di origine vulcanica, è possibile
imbattersi in viti a “piede franco” coltivate ad alberata, “maritate” al pioppo
(reminiscenza
degli impianti etruschi), che raggiungono anche i 20 metri di altezza e che
impongono ai viticoltori equilibrismi incredibili, su altissime scale, per la
raccolta delle uve.
4.
Questo vitigno lo troviamo in purezza nella DOC Asprinio di Aversa, il cui territorio si estende su alcuni comuni tra
le provincie di Napoli e di Caserta. Tale denominazione prevede sia la tipologia
ferma sia la tipologia spumante; al riguardo, c'è da sapere che da sempre è
stata sfruttata la sua naturale propensione a frizzare, tanto che
in passato si pensava che l'Asprinio appartenesse alla famiglia dei Pinot e che
fosse stato importato durante la dominazione francese di inizio Ottocento per
la produzione di vini spumanti. Mi è capitato, inoltre, di assaggiarne
un'interessante versione passito, non contemplata però nel disciplinare di
produzione.
5.
Dà un vino dai riflessi verdolini, leggero, minerale, con una componente alcolica non
elevata e un'acidità spiccata, preannunciata al naso da tipici sentori agrumati
e corrisposta al palato da una sensazione tale da far quasi raggrinzire le
gengive... ideale per rinfrescare e sgrassare la bocca; degustandolo il Soldati
scriveva "l'Asprino profuma appena, e quasi di limone: ma, in compenso, è
di una secchezza totale, sostanziale, che non si può immaginare se non lo si
gusta... Che grande piccolo vino!". Si tratta di un vino in genere poco longevo, da consumarsi entro l'anno
(ma non mancano versioni affinate sui lieviti che si prestano ad un modico
invecchiamento in bottiglia). Ottime anche come fresco aperitivo e dal finale ammandorlato
sono le versioni spumantizzate che si ottengono con il metodo
Martinotti-Charmat.
6.
L'abbinamento tradizionale è con mozzarella di bufala e prosciutto, ma non sfigura con insalate
e fritture di mare, pizze, calzoni e piatti a base di pesce.
7.
Oltre alle valide iniziative proposte dalle associazioni, Slow Food e Pro Loco
locali in primis (tra cui quella di Cesa
che ogni anno organizza la "Sagra del Vino Asprinio" con tanto di degustazioni e
spettacoli messi in scena nelle antiche grotte scavate nel tufo), volte a
promuovere e valorizzare l'alberata aversana, occorrerebbe un intervento delle
Istituzioni per tutelare chi di questo suggestivo "paesaggio" ne ha
cura... ossia quei viticoltori che, noti ai più per le vertiginose vendemmie
sugli "scalilli", sono custodi di tradizioni ormai a rischio di
scomparire, sia per gli elevati costi di gestione sia per la mancanza di un
ricambio generazionale; fattori che hanno portato nel tempo al progressivo abbandono della "vite maritata" e al
diffondersi di sistemi di allevamento più "comodi" e meno onerosi,
come quelli a spalliera.
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