Immagine presa da Internet
Mi
è capitato in questi giorni di bere un vino che recava in bella mostra in
etichetta il nome di un solo vitigno ma che all’assaggio era palesemente
tutt’altro.
Ciò
mi ha dato occasione per riflettere sulla pratica, piuttosto diffusa (spesso anche permessa nei disciplinari), di
tagliare il vino ottenuto da determinate uve con quello ottenuto da vitigni di
spiccata personalità (soprattutto Sauvignon Blanc per i bianchi e Cabernet
Sauvignon per i rossi).
Ne
risultano spesso vini “che piacciono”... ma irrimediabilmente stravolti nella loro
identità!
Chi
beve tale vino, attenendosi a ciò che legge in etichetta e considerandolo,
quindi, come il risultato della pigiatura di determinate uve, avrà di
conseguenza un’idea alterata di ciò che quel vitigno può dare.
Anziché
mettere in primo piano il nome di un solo vitigno, perché non scrivere quello
della zona di produzione o, nei casi in cui ciò non sia possibile a causa di
normative varie, dare al vino un nome di fantasia che magari rievochi la storia
del luogo?
Oggi
vanno ancora molto i “vini monovitigno”, ma specificare le uve utilizzate
(magari indicandone anche le relative percentuali), penso sia di giovamento per
tutti! Per il produttore, per il vitigno, per il consumatore e, soprattutto,
per il territorio!
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