giovedì 23 giugno 2016

Uno sguardo su Sancerre...


Enopanetteria "I Sapori della Tradizione" - Mercoledì 22 Giugno 2016



 

 

Una delle più belle serate di degustazione cui abbia mai partecipato... incentrata su un luogo magico... Chavignol, dove il Sauvignon Blanc suole spogliarsi dei suoi sentori varietali per rivestirsi di territorio, dando così vita a vini bianchi unici e straordinari.

 

Circa Sancerre, voglio riportare una descrizione trovata sul web e che penso sia di Giampiero Pulcini: "Tracce di mare affioranti nel cuore di Francia incrociano il freddo del clima e la tenacia dell'uomo; ciò che ne esce è qualcosa di chiaro, che pare illuminare dal basso l'ingannevole quiete di atmosfere sospese"... che dire? Evocativa!

 

Ad aprire le danze sono due vini di Gérard Boulay. La Côte 2011, tagliente come una lama al palato, rispetto ad un paio di anni fa ha mostrato una maggiore distensione al naso, esprimendo penetranti sentori di erbe aromatiche e camomilla. Il Clos de Beaujeu 2010, invece, ricchissimo di estratti, contrapponeva alla sapidità una buona morbidezza glicerica... il che lo rendeva il più "grasso" (se si potrà mai parlare di grassezza a Chavignol) dei vini in degustazione; meno fruttato rispetto a due anni fa, esprimeva al naso sentori di pietra bruciata al sole e di limone, cui hanno fatto seguito note di miele.

 

Siamo poi passati a tre vini ottenuti da uve coltivate sulle colline "maledette", così chiamate per la loro grande pendenza... tale da costringe i viticoltori a un duro lavoro in vigna (specie nella fase di raccolta, ovviamente manuale), ma "benedette" per la presenza nel suolo di uno strato formatosi nel Giurassico da conchiglie fossili e noto come Kimmeridge, che dona ai vini una bianca mineralità.

 

 Le MD de Bourgeois 2013 fa un ingresso in bocca con una sapidità quasi graffiante ma il sorso scorre via veloce grazie alla grande acidità; al naso denota sentori di erbe aromatiche, pesca, limone, pietrisco, tè ed aghi di pino asciugati dal sole dopo la pioggia... una veste, dunque, più varietale rispetto a quella del naso del vino successivo, ossia il "Les Monts Damnés" 2013 di Pascal Cotat, dominato da gentili sentori di pietrisco e note fumé, a tratti sulfuree, e quasi completamente spogliatosi delle note citrine che un paio di anni fa tanto lo caratterizzavano... all'assaggio è vera poesia! Nel bicchiere appare poi rivestito di un colore quasi algido, cristallino, come la neve che sciogliendosi cattura e riflette i raggi di un pallido sole invernale.

 

 

 

Chiudiamo con il Clos La Néore 2014 di Edmond et Anne Vatan... Metto il naso nel bicchiere e quasi mi scappa una lacrima... Goduria allo stato puro! C'è dentro di tutto! Il naso è di una complessità tale da farmi perdere letteralmente l'orientamento, la sensazione è di trovarsi di fronte ad un turbinio di sentori, avvolti l'un l'altro come in una matassa difficile da districare... frutta a polpa bianca, erbe aromatiche (menta in particolare), anice, mineralità... tutto è sussurrato.

Il bicchiere diventa un'acquasantiera... sembra di entrare in un chiostro trecentesco, mentre a bicchiere vuoto emerge profumo di donna.

All'assaggio un mio amico fraterno piange davvero dalla felicità!

 

 

 

Sorpresa della serata... il Lieben Aich 2001 Manincor, considerato a ragione tra le migliori espressioni di Sauvignon Blanc in Italia... fulgido nel bicchiere, esprime al naso note fumé, sentori di erbe aromatiche e di birra belga, cui seguono sfumature di pan di spagna bagnato con rum; pieno e persistente al palato... non sfigura accanto ai più verticali bianchi francesi.

 

Una serata da incorniciare... con amici meravigliosi e bottiglie superbe! Cosa volere di più?!

 

 

 

Vi do appuntamento al prossimo evento con gli Enodegustatori Campani... visitate il sito web per rimanere aggiornati!

 

 

 

martedì 21 giugno 2016

Il Vino Cotto di Tiberi David



Mai sentito parlare di Vino Cotto?

 

 

 

Eppure il Vino Cotto ha origini antiche... così come testimoniato anche da autori latini, come Plinio il Vecchio e Columella, che ne descrivono le tecniche produttive, nonché la consuetudine degli imperatori romani di berlo a fine pasto. Successivamente, nel XVI secolo, a parlare di Vino Cotto è Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III, che ne esalta la bontà e, un po' più tardi, Andrea Bacci, medico e filosofo nativo di Sant'Elpidio (un comune delle Marche). In tempi più recenti, Mario Soldati nel suo capolavoro Vino al Vino ci racconta che, durante uno dei sui viaggi in giro per l'Italia alla ricerca di "qualche vino", si imbatte in una bottiglia di Vino Cotto di sessanta anni!

 

 

 

La produzione di questa tipologia di vino, tipicamente marchigiana, è descritta dall'ingegner Cimìca (proprietario della bottiglia di cui sopra) nelle pagine di Mario Soldati: "Si usano tutte le uve, pregiate e non pregiate, mescolandole senza guardare per il sottile ... Si mescolano, e, prima ancora che cominci la fermentazione, si bolle questo uvaggio in una grande caldaia di rame, da cinque, sei, sette ettolitri. Si lascia bollire per circa sei ore, badando continuamente, con un'enorme "schiumarola" a ripulire il vino dalle impurità che si vengono formando e che via via risalgono alla superficie. Sei ore è il tempo normale. Ma, in ogni caso, si attende che il volume del mosto, bollendo, si sia ridotto di un terzo. Tale mosto, allora, viene chiamato "rinterzato". Lo si lascia fermentare nelle botti per dieci, quindici giorni. Un grande imbuto, ficcato nella botte, favorisce le esalazioni nocive. Prima che si possa bere, occorrono almeno sei mesi. Ma la grande particolarità del Vino Cotto consiste nella sua attitudine ad invecchiare. E' sempre buono: col tempo, sempre più buono."

 

 

 

Presa la vecchia bottiglia dalla "nicchia del sancta sanctorum", l'ingegner Cimìca la fa assaggiare al nostro Soldati, che così commenta: "Lo trovo, come vino da dessert, ottimo. Di un bel colore rosso mattone a riflessi di oro cupo, il sapore strano, affumicato e ruvido della sua moderata dolcezza corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nauseabonda di tanti passiti o "marsalati". C'è qualcosa di affascinante, di profondamente rustico e montano, nel Vino Cotto".

 

 

 

Grazie a Emanuela Tiberi, ho avuto anch'io occasione di assaggiare una bottiglia (anno 2004) di Vino Cotto... quello prodotto dal papà ed invecchiato 10 anni: il suo preferito! Che mi ha ammaliato con i suoi sentori speziati e di frutta secca, prugna, fichi, datteri e nocciole... e con il suo gusto che ricalca quello descritto anni fa (era l'autunno del 1970) dal Soldati.

 

 

 

Sull'etichetta della bottiglia si legge "Vino cotto stravecchio marca occhio di gallo", in quanto i nonni di Emanuela dicevano che il Vino Cotto, per essere buono, deve avere il colore dell'occhio del gallo.

 

 

 

Così ancora oggi, come un tempo, sulle colline di Loro Piceno da uve Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese, coltivate su terreni argillosi a oltre quattrocento metri sul livello del mare, si ottiene un mosto che viene cotto e invecchiato in botti di legno come da tradizione centenaria tramandata da padre in figlio.

 

 

 

Azienda Agricola Tiberi David
62020 Loro Piceno (MC)
Via Vignali Bagnere, 5/A
Tel. 3472949426
email: tiberi@vinocotto.org
http://www.vinocotto.org/

 



sabato 18 giugno 2016

Cap'alice presenta "I Favati"... La riconferma dei grandi vini bianchi dell'Irpinia!



 

 

Questo Giovedì sera presso Cap'alice, caratteristico ristorantino di via Bausan a Napoli eletto come ritrovo da più "winelovers", ho avuto una riconferma... Una riconferma del fatto che dal Greco e dal Fiano, due antichi e nobili vitigni campani a bacca bianca, si possono ottenere vini straordinari e ricchi di personalità, capaci di dare piacevoli sorprese dopo qualche anno di invecchiamento.

 

 

 

A darmi questa riconferma sono stati, ieri sera, i vini dell'azienda "I Favati", guidata da Rosanna Petrozziello che, insieme al marito Giancarlo ed al cognato Piersabino Favati, decise nel 1996 di impiegare produttivamente i terreni ereditati dal suocero; successivamente, con l'ampliarsi dell'azienda (che attualmente conta ben 17 ettari coltivati a vigna secondo i principi dell'agricoltura biologica), Rosanna lascia il suo lavoro in banca per dedicarsi pienamente a quest'entusiasmante progetto che la vede impegnata su più fronti, dalla vigna alla comunicazione.

 

 

 

La piacevole serata organizzata da Marina Alaimo, che ringrazio per l'invito, inizia con la verticale del Fiano di Avellino "Pietramara Etichetta Bianca", ottenuto dall'omonima vigna sita ad Atripalda a 450 metri sul livello del mare. Si parte dall'annata 2010, che ha dato alla luce un vero fuoriclasse dal naso complesso ed intrigante, caratterizzato da note agrumate e fumé, sentori di nocciola tostata e sfumature di pietra focaia... non delude al gusto, dove mostra grande struttura e sapidità; si conclude con l'annata 2013, una bottiglia apprezzabile già adesso, ricca di sfumature floreali e sentori di erbe aromatiche... slanciata al gusto, promette davvero bene per il futuro.

 

 

 

Si passa, poi, alla verticale del Greco di Tufo "Terrantica Etichetta Bianca", ottenuto da vigneti compresi in un territorio tra i comuni di Montefusco e Tufo a 500 metri sul livello del mare. La prima annata in degustazione è la 2009, che ammalia al naso con sentori di mela cotogna e miele, mentre al gusto stupisce per la notevole struttura (il vino è quasi masticabile!) e la grande sapidità che dona al sorso una lunghissima persistenza. L'ultima annata degustata è la 2012, che ha stoffa da vendere! Presenta un naso costellato di note minerali, agrumate, speziate ed una bocca davvero piacevole... aspettiamo qualche anno e ne vedremo delle belle!

 

 

 

Imputabile in parte al tempo di affinamento, le differenti caratteristiche organolettiche riscontrate tra le varie annate nei vini di Rosanna rappresentano, senz'altro, un sintomo di artigianalità e non omologazione.

 

Altre foto della serata le trovate sulla pagina facebook del blog.

 

Alla prossima!

 



 

mercoledì 8 giugno 2016

Il Greco riassunto in 7 punti

Foto presa dal web


1. Nobile vitigno a bacca biacca di antichissima origine, il Greco, così come altri vitigni con simile etimologia del nome, fu probabilmente introdotto nel Sud Italia in seguito alla colonizzazione greca del VIII secolo a.C., quando la crisi agricola ellenica spinse molti contadini a trovare nuove terre da coltivare nella nostra penisola.

 

2. In base alla particolare forma dei suoi grappoli che, piuttosto piccoli e compatti, sono muniti di un'ala così sviluppata da far sembrare che siano doppi, Carlucci nel 1909 ipotizzò per primo che questo vitigno potesse derivare dalla “Aminea gemella”, pregevolissima famiglia di viti descritta nelle “Georgiche” da Virgilio.

 

3. Con il nome di Greco Bianco o Greco di Gerace si indica, invece, un vitigno calabrese (l'aggettivo "Bianco" definisce un'appartenenza geografica) che si distingue dalla famiglia dei Greco per struttura e forma del grappolo.

 

4. Inoltre, è da ricordare che con il termine "Greco" o "Grechetto" ci si riferiva in passato a differenti vitigni a bacca bianca... accomunati dal fatto di essere utilizzati nel Medioevo per produrre vini passiti dolci simili a quelli importati dall'Oriente dai mercanti veneziani, particolarmente apprezzati e costosi.

 

5. Il Greco è oggi diffuso in tutta la Campania: dapprima coltivato sul Vesuvio e nei Campi Flegrei, la sua coltivazione si estesa successivamente nelle zone più interne della regione, Irpinia e Sannio. In particolare, questo vitigno ha mostrato di prediligere i terreni gessoso-tufacei della zona di Tufo, ricca tra l'altro di miniere di zolfo, dove è alla base della DOCG Greco di Tufo.

 

6. Nelle sue terre di elezione dà un bianco di straordinario carattere: interessante al naso, dove sentori di pesca e mandorla amara si intrecciano a note minerali sulfuree; ricco di struttura al gusto (tanto che spesso si parla di questo vino come di "un rosso travestito da bianco"), dove si fa notare per la sua elevata acidità. Si è soliti abbinare questo vino con pesci e crostacei, tuttavia non sfigura affatto con la mozzarella di bufala.

 

7. Una breve ma intensa descrizione del Greco di Tufo è quella di Manuela Piancastelli: "Un terroir particolare che restituisce a quest'uva e al vino profumi e caratteristiche del tutto peculiari. Rispetto al cugino Fiano, è ruvido e difficile, con minori profumi, più nervoso e difficile da interpretare. E' come un ragazzino ostico, di poche parole ma pieno di qualità che molti, purtroppo, cercano di omologare dandogli forzatamente un'eleganza che non gli è propria".

Inoltre, il disciplinare di produzione della DOCG prevede anche la tipologia “Spumante”, ottenuta con il metodo della rifermentazione in bottiglia (metodo classico) ed affinamento minimo di 36 mesi.

 

Se hai trovato questo post interessante... dà un'occhiata al mio ebook "Nozioni su vini, vitigni e zone vitivinicole d'Italia".

 

 
 

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...