Il
21 ottobre 2015, ossia ieri, era la data selezionata sul display della mitica
DeLorean (la macchina del tempo) da Marty McFly e "Doc" nel film
"Ritorno al Futuro - Parte II".
A
differenza del film, nel "futuro di oggi" i due protagonisti non
hanno trovato la Pepsi Perfect o
l'hoverboard... tuttavia, se quest'oggi
avessero fatto una puntatina a pranzo non negli Stati Uniti ma in quel di Napoli, di sicuro non sarebbero cascati male con
le seguenti bottiglie:
Les
Vieilles Vignes des Blanderies 2006 Ferme de la Sansonnière
Valpolicella 1997 Quintarelli
E
vedendo una di queste due tra le mani del mio "grande" amico
enotecaro, che avidamente versava il prezioso nettare nel suo bicchiere, sono
certo che McFly avrebbe esclamato (come ho fatto anch'io!): "Ehi tu porco levale
le mani di dosso!"
Per
l'occasione ho chiesto a quest'amico enotecaro di farsi fare una foto con una
delle due bottiglie tra le mani, ma lui pudicamente ha rifiutato... non lo
facevo così scornoso :) (soprattutto dopo averle bevute!)
Forse
questo film ha poco a che fare con il vino... però per noi trentenni di oggi è stato un
mito e la data del 21 ottobre 2015 di certo non è passata inosservata: quindi,
concedetemi questo diversivo :)
Ora tutti a vedere la maratona di "Ritorno al
Futuro" che vi ricordo inizia alle 19:30 su Italia1!
Vedendo
l'etichetta, la prima cosa che ho pensato è stata: Che scimmia è?
Una
volta assaggiato, la prima cosa che ho pensato è stata: Che gran bel vino!
Di
una bevibilità goduriosa... gustoso ed agile al palato; si presenta nel bicchiere
con un colore rubino vivace e di bella trasparenza. Il profumo è delicato e non
invasivo, di quelli che ti accarezzano le narici, e sussurra sentori di
ciliegia e fiori incorniciati da cenni di macchia mediterranea e tabacco dolce.
Elegante!
A
tavola la bottiglia è finita in un batter d'occhio: segno oggettivo della sua
bontà!
Ecco
uno di quei vini che mi ricorda come il Sangiovese non sia solo Toscana.
In
cantina ne ho un'altra bottiglia! Prima di questo stappo, il proposito era di regalarla
a un amico... ma visto che è così buona, quasi quasi me la tengo!
Ma
no! Scherzo! Il vino è condivisione :)
P.S.:
La scimmia in etichetta, da quanto ho potuto capire facendo una ricerca sul
web, simboleggia il Sangiovese e suggerisce un ritorno alle origini... da un
articolo pubblicato un paio di settimane fa su Bibenda7 (ed al quale rimando
per un approfondimento) leggo: "Noelia
Ricci fu colei che, negli anni Settanta, ebbe l'intuizione di reimpiantare il
Sangiovese nella proprietà di famiglia, Villa La Pandolfa, nel cuore della
valle del Rabbi di Predappio ... Come il primate è, in qualità di nostro
antenato più prossimo, il vincolo che ci lega al mondo animale, così
rappresenta per il Sangiovese un ritorno a "casa" e alla terra che
l'ha generato: l'Appennino Tosco-Romagnolo. Un ritorno alle origini che
accomuna uomo e vitigno, attraverso una semplice bottiglia di vino".
Secondo alcuni, infatti, il Sangiovese sarebbe
originario proprio dell'Appennino Tosco-Romagnolo e, a sostegno di tale ipotesi,
il suo nome (dal latino "Sanguis Jovis", ossia "sangue di Giove")
pare derivare dal Monte Giove, sito nei pressi di Sant'Arcangelo di Romagna,
dove i monaci cappuccini producevano un vino rosso apprezzato anche da papa
Leone XII.
Forse
qualcuno ne resterà sorpreso, qualcun altro deluso... ma alla fine ho preso la
decisione di inviare la seguente lettera di dimissioni da socio
dell'Associazione Italiana Sommelier (AIS) alla Segreteria della Sede Nazionale
e alla Segreteria AIS Campania:
Egregi Signori,
con la volontà
di mettermi in gioco e di dedicare del tempo al mondo del vino, dal 2011 ho
fatto parte di quest'associazione. Ho sempre sostenuto, e continuo a sostenere,
l'importanza della figura del Sommelier, visto non solo come prezioso elemento
di una brigata di sala ma anche come ambasciatore di cultura enoica, ragion per
cui ho cercato di dare il mio contributo con la massima serietà e impegno.
RingraziandoVi
quindi dell'opportunità concessami, con la presente comunico che, per motivi
strettamente personali, non intendo proseguire a far parte del prestigioso
sodalizio e che, pertanto, non rinnoverò la tessera alla scadenza prevista.
Cordialmente
Alessandro
Farina
Ho
deciso di renderla nota sul mio piccolo blog per correttezza nei confronti sia
di chi mi segue sia di chi, conoscendomi personalmente, mi ha visto negli
ultimi cinque anni portare orgoglioso le insegne AIS.
Saluto
ed auguro ogni bene (e bevuta) ai colleghi Sommelier AIS che, grazie alla
comune passione per il vino, hanno condiviso con me momenti di felicità durante
lo stappo di "qualche" bottiglia o anche quando impegnati in divisa
di servizio, e che purtroppo (date le mie dimissioni) non avrò più occasione di
vedere così spesso come prima... con la speranza tuttavia di rincontrarci
presto, ancora una volta seduti a un tavolo per degustare insieme un calice di
"buon" vino.
"A
prendere posizione, a volte, si perde qualcuno. A non prenderla, a volte, si
perde se stessi."
(Alfredo Colella)
"...sotto la pioggia, che batte strepitosa e
allegra, continua il traffico proprio a questa strana, unica città: passano
contadine con brente sulle spalle, con tubi di gomma attorno al collo. Dagli
scantinati delle rare casette, che incontriamo inoltrandoci in questo immenso
labirinto di gallerie verdi e di rustici colonnati, ci investe, nella pioggia,
profumo di vino giovane. Finché comprendiamo il motivo della nostra gioia, e ci
diciamo che da qualche minuto stiamo provando quella stessa sensazione violenta
e irripetibile che ci colse quando la prima volta vedemmo le gondole, i
grattacieli, il métro. Carema ha una struttura strana e meravigliosa, che le
deriva appunto dalla sua ubicazione e dalla sua funzione, appunto come Venezia
e New York. Non diversamente da queste città, la sua bellezza è unica..." Queste
le sensazioni di Mario Soldati quando, per la prima volta, vide Carema... "la città-vigneto"
posta a nord-ovest del Piemonte, nel Canavese.
1. In questa zona
che confina con la Valle d'Aosta, tra le provincie di Biella e Torino, in un
paesaggio caratterizzato da altissimi terrazzamenti, scavati dai contadini
nella roccia e riempiti da terra portata dalla valle con le gerle, si trovano
"colonne di pietra inghirlandate di vigna" (Cit. M. Soldati), vigneti
coltivati a pergola.
2.
Questi pergolati, le “topie”, sono sostenuti dai caratteristici “pilun” in
pietra e calce... possenti e tozze colonne doriche che, come spiega il Soldati,
"non servono soltanto di sostegno, e, perciò, non sono sproporzionate: esse trattengono il calore del sole anche
dopo che il sole è tramontato, e, quasi stufe, lo riflettono sui tralci e sui
grappoli, smorzando e sfumando quel quotidiano abbassamento di temperatura, fra
il giorno e la notte, che in montagna è molto più sensibile che non in collina
o in pianura, e molto più dannoso alla maturazione delle uve"... donando
così al vino quel "gusto inimitabile di sole e pietra".
3. Su queste terre
di origine morenica (ossia originate da detriti accumulati e trasportati dai
ghiacciai), la tradizione vitivinicola vanta un antico passato ed il vino qui
prodotto fu definito da Sante Lancerio, bottigliere del Papa Paolo III Farnese,
"un'ottima e perfetta bevanda da principi e signori".
4. Tutelato
dall'omonima DOC, il vino di Carema è ottenuto per almeno l'85% da uve del
vitigno Nebbiolo, che qui è chiamato "Picotendro" per via degli acini piccoli e teneri.
5. Vino di grande longevità, il Carema affina
per un periodo minimo di 24 mesi, di cui almeno 12 in botti di rovere o di
castagno; per la tipologia Riserva l'invecchiamento è di almeno 36 mesi.
6. Nel bicchiere suole
avere un colore rosso granato che nei lunghi anni di affinamento nelle botti e,
successivamente, in bottiglia, acquista bellissime tonalità aranciate; al naso gli
aromi iniziali di rosa e violetta si intrecciano ai sentori di frutta sotto
spirito e a quelli speziati di pepe, di tabacco e di cuoio; etereo, strutturato,
complesso dal punto di vista gustativo e con buona persistenza aromatica... è
un vino tannico, nel quale le morbidezze vanno a comporre un buon equilibrio.
7. Lo berremo con
arrosti, selvaggina, lepre in salmì, carni rosse, pietanze arricchite da
tartufo,formaggi stagionati non
piccanti ma anche fuori dai pasti senza alcun abbinamento come vino da
“meditazione” o da "caminetto".
Per concludere... Ecco alcuni tra i migliori
produttori in base agli assaggi fatti da me finora: Cantina Produttori "Nebbiolo di Carema", Ferrando.
"A
Lèttere, per il Gragnano. Arriviamo verso il tramonto. Paesaggio alpestre,
rupestre, pastorizio, e insieme foltissimo di vegetazione. Valloncelli, dossi,
poggi preromantici. E, tra le vigne, i lecci, i noci, i castagni a picco sulla
piana di Pompei, in vista di Castellammare e del Golfo, delle isole lontane e
del Vesuvio, casette o villette, di un tardo barocco o di un neoclassicismo
rustico, coi loro portichetti o con i loro pronai a colonne di pietra, quasi
quinte di una scenografia naturale, ma a misura umanissima, cui certo si
ispirarono gli artisti dei presepi napoletani, e poi i pittori come Gigante e
Palizzi." Così si mostravano i Monti Lattari agli occhi di Mario Soldati,
quando nell'autunno del 1968 s'incamminò "alla ricerca del Gragnano
perduto".
1. Sui Monti Lattari, dove le escursioni
termiche sono piuttosto forti, la coltivazione della vite ha origini
antichissime. Furono probabilmente i greci ad impiantare le prime viti e,
successivamente, i romani furono estimatori del vino qui prodotto. Nel medioevo,
data l'importanza che la viticoltura rivestiva in zona, quando la cattedrale di
Lettere divenne diocesi, questa fu intitolata Santa Maria delle Vigne; inoltre,
un detto del XVI secolo, coniato dal monsignor Molinari, declamava le proprietà
taumaturgiche del Gragnano: "Si vis vivere sanum, bibe Gragnanum". Con
l'avvento di Napoleone e la nomina di Gioacchino Murat a re di Napoli, tecnici
di viticoltura ed enologia furono chiamati direttamente dalla Francia, ed il
Gragnano conobbe un periodo di fama in tutta la provincia. Nel 1845 il Gigante
affermava: "Il vino di Gragnano, per antonomasia dette il nome a tutti i
vini del napoletano, sicché bastava dir Gragnano per intendere un vino
fragrante, limpido, abboccato, vocabolo che significa dolce e di vitigno, non
artificiale ... non vi era cantina a Napoli dove non trovasi il Gragnano."
2. Su queste terre
rese fertili dalle eruzioni vulcaniche, Piedirosso (localmente detto Per' 'e Palummo), Sciascinoso (localmente
detto Olivella), Aglianico e altre uve del
posto (come Tintore, Castagnara, Surbenga e Suppezza) sono
coltivati a spalliera o con il vecchio sistema della pergola a tralcio lungo
(scelto per la forte resistenza all'impeto dei venti) per dare vita a questo
rosso brioso... al Gragnano, "il vino dei veri napoletani".
3. "Il Gragnano appartiene a quelli che i
francesi chiamano petits vins,
piccoli vini, non ai vini classici, da arrosto e da invecchiamento"...
"Un vino senza pretese, un piccolo vino: ma, bevuto sul luogo, e, a pasto,
veramente insuperabile" (M. Soldati). La sua produzione richiede molta
fatica ai viticoltori... i terrazzamenti su cui nascono le vigne ostacolano
l'uso delle macchine e fanno dell'artigianalità una scelta obbligata.
4. "Il
migliore era quello di Lettere, un
piccolo comune, quattro case sparse sopra Gragnano" ... di cui
"sapevo che il nome derivava da latte, trovandosi il paesello sulle
pendici dei Monti Lattari, ricchissimi un tempo di pecore e capre"
scriveva il Soldati. Attualmente il disciplinare di produzione della DOC Penisola Sorrentina distingue per il vino
rosso frizzante le sottozone Gragnano e Lettere. Pertanto, la scritta
"Gragnano" compare in etichetta solo sulle bottiglie di quei vini prodotti
nell'omonima sottozona, che si estende sui territori dei comuni di Gragnano,
Pimonte e sulla parte collinare di Castellammare di Stabia; tale sottozona è protetta
alle spalle dalle dorsali del Monte Faito (la più alta montagna della provincia
di Napoli) e beneficia della brezza marina proveniente dal Golfo.
5. Si tratta di un
vino rosso frizzante naturale... si
distingue dunque dagli spumanti per la minore pressione atmosferica e da quelli
artificiali per il fatto che l'anidride carbonica non è addizionata per
insufflazione; nel Gragnano, infatti, l'effervescenza si sviluppa naturalmente
per effetto delle fermentazioni. La prima fermentazione dura qualche giorno e
vede il mosto a contatto con le bucce; la seconda fermentazione avviene in
autoclave (qualche produttore sceglie di farla avvenire direttamente in
bottiglia) con l'aggiunta di un piede di mosto preparato ed arricchito con
lieviti. Alcuni produttori per aumentarne l'effervescenza seguono una vecchia
usanza ed aggiungono al vino un goccio di lambiccato ottenuto da uve Catalanesca.
6. Nel bicchiere
si presenta, in genere, con un colore rosso rubino cupo, quasi impenetrabile e
con riflessi violacei, con una schiuma "che calava subito e subito spariva
per sempre", al naso con fragranti sentori di ciliegia, frutti di bosco e
viola; al gusto appare "denso ma allo stesso tempo scivoloso: come un
lambrusco di più corpo, come una
barbera di meno corpo ... con un
retrogusto gradevolissimo di affumicato" (M. Soldati).
7. Un vino da
gustare a tavola con la pizza, come suggeriva Veronelli, e "freddo di
cantina". Oltre che con la pizza, trova felice abbinamento con il panuozzo,
con salsicce e friarielli e con il sartù di riso.
Per
concludere... Ecco alcuni tra i migliori produttori in base agli assaggi fatti
da me finora: Grotte del Sole, Iovine.
"Ma l'incanto delle vigne, così drappeggiate a lunghi e altissimi e
folti festoni da un pioppo all'altro! Immense pareti di verzura, tese
verticalmente: che il sole, attraversandole, trasforma in vasti arazzi
luminosi, dai meravigliosi frastagli indecifrabili. E le contorsioni, gli
intrichi, i grovigli dei rami, nella loro vegetale, apparentemente immota,
vitalità, nei loro complicati abbracci intorno ai fusti diritti dei pioppi,
hanno qualche cosa di mostruoso ed animalesco." Così, nel suo libro "Vino al Vino", Mario Soldati descriveva
le "alberate aversane", disegnate da viti centenarie di Asprinio, che
negli
anni '60 coprivano un vigneto che si estendeva su ben 16'000 ettari, ma che
oggi arriva a ricoprirne poco meno di 200.
1.
L'Asprinio è un vitigno a bacca
bianca coltivato in passato in Campania già dagli Etruschi e diffuso nell'Agro
Aversano; recenti studi di analisi molecolare lo vogliono un biotipo del Greco.
2.
Si tratta di una varietà dalla spiccatissima acidità, da cui deriva appunto il
nome. Gli acini, così come anche i
grappoli, sono piccoli e la loro maturazione avviene tra la fine di settembre e
la prima decade di ottobre.
3.Nell’Agro
Aversano, passeggiando sui terreni sabbiosi di origine vulcanica, è possibile
imbattersi in viti a “piede franco” coltivate ad alberata, “maritate” al pioppo
(reminiscenza
degli impianti etruschi), che raggiungono anche i 20 metri di altezza e che
impongono ai viticoltori equilibrismi incredibili, su altissime scale, per la
raccolta delle uve.
4.
Questo vitigno lo troviamo in purezza nella DOC Asprinio di Aversa, il cui territorio si estende su alcuni comuni tra
le provincie di Napoli e di Caserta. Tale denominazione prevede sia la tipologia
ferma sia la tipologia spumante; al riguardo, c'è da sapere che da sempre è
stata sfruttata la sua naturale propensione a frizzare, tanto che
in passato si pensava che l'Asprinio appartenesse alla famiglia dei Pinot e che
fosse stato importato durante la dominazione francese di inizio Ottocento per
la produzione di vini spumanti. Mi è capitato, inoltre, di assaggiarne
un'interessante versione passito, non contemplata però nel disciplinare di
produzione.
5.
Dà un vino dai riflessi verdolini, leggero, minerale, con una componente alcolica non
elevata e un'acidità spiccata, preannunciata al naso da tipici sentori agrumati
e corrisposta al palato da una sensazione tale da far quasi raggrinzire le
gengive... ideale per rinfrescare e sgrassare la bocca; degustandolo il Soldati
scriveva "l'Asprino profuma appena, e quasi di limone: ma, in compenso, è
di una secchezza totale, sostanziale, che non si può immaginare se non lo si
gusta... Che grande piccolo vino!". Si tratta di un vino in genere poco longevo, da consumarsi entro l'anno
(ma non mancano versioni affinate sui lieviti che si prestano ad un modico
invecchiamento in bottiglia). Ottime anche come fresco aperitivo e dal finale ammandorlato
sono le versioni spumantizzate che si ottengono con il metodo
Martinotti-Charmat.
6.
L'abbinamento tradizionale è con mozzarella di bufala e prosciutto, ma non sfigura con insalate
e fritture di mare, pizze, calzoni e piatti a base di pesce.
7.
Oltre alle valide iniziative proposte dalle associazioni, Slow Food e Pro Loco
locali in primis (tra cui quella di Cesa
che ogni anno organizza la "Sagra del Vino Asprinio" con tanto di degustazioni e
spettacoli messi in scena nelle antiche grotte scavate nel tufo), volte a
promuovere e valorizzare l'alberata aversana, occorrerebbe un intervento delle
Istituzioni per tutelare chi di questo suggestivo "paesaggio" ne ha
cura... ossia quei viticoltori che, noti ai più per le vertiginose vendemmie
sugli "scalilli", sono custodi di tradizioni ormai a rischio di
scomparire, sia per gli elevati costi di gestione sia per la mancanza di un
ricambio generazionale; fattori che hanno portato nel tempo al progressivo abbandono della "vite maritata" e al
diffondersi di sistemi di allevamento più "comodi" e meno onerosi,
come quelli a spalliera.
Per concludere... Ecco alcuni tra i migliori
produttori in base agli assaggi fatti da me finora: Cantine Magliulo, Grotte
del Sole, I Borboni, Masseria Campito.
"Il
sole violento e bruciante, il vento teso e vivo, il vento delle montagne, la
lunga cresta, le pareti alte tutte roccia, più in basso la roccia che sfuma nei
vigneti, quali scendenti coraggiosamente in ripidissimi pendii, quali, invece,
spezzati e gradinati in terrazze l'una sull'altra, col sostegno di massicci
muretti di pietra che seguono serpeggiando ora lo sporgere e ora il rientrare
della costiera; più in basso ancora, dove il pendio muore, i villaggi coi loro
campanili romanici e barocchi, con le loro case antiche o nuove, con le loro
ville sparse e, intorno alle ville, i gruppi cupi dei piccoli parchi di
sempreverdi; infine, la pianura geometrica, i filari di salici e di robine, i
furetti, i prati verdissimi, l'Adda". Così, nell'autunno del 1968, appariva
agli occhi di Mario Soldati la Valtellina... valle alpina della Lombardia, sita in
provincia di
Sondrio e solcata dal fiume Adda.
1. In Valtellina si ottengono splendidi rossi
da uve Nebbiolo, qui denominato Chiavennasca, nome
che probabilmente, secondo alcuni, deriverebbe dalla località alpina denominata
Val Chiavenna; secondo altri, invece, deriverebbe dal termine dialettale “ciù
vinasca”, ossia uva più vinosa, cioè adatta alla trasformazione in vino.
2. Orientata da
est a ovest, questa valle tra le montagne, quasi al confine con la Svizzera, ha
la costiera del
lato nord che la difende dal rigore delle tramontane, mentre la costiera del
lato sud la difende dalle nebbie e dai riflessi umidi della Val Padana.
3. I vigneti si trovano sui ripidi pendii della parte
nord della valle, sul versante meglio esposto ai raggi del sole. Per la loro
coltivazione sono stati realizzati terrazzamenti sulle scoscese pareti delle
montagne, tenuti da muretti in pietra e che costituiscono le "terragne", ossia terrazze
rettangolari di silice e argilla, allineate e sovrapposte a gradoni...
un'architettura verticale, suggestiva a vedersi, ma che costringe ancora oggi i
viticoltori a trasportare a spalla l'uva vendemmiata, utilizzando le stesse
gerle con cui hanno portato su la terra per formare i terrazzamenti; solo in alcuni
punti sono stati introdotti sistemi di trasporto su piccole rotaie. Una
viticoltura che possiamo definire "eroica".
4. In questa valle, che va da Tirano ad Ardenno, prende
vita la DOCG Valtellina Superiore(il termine “Superiore” è
riferito alla posizione geografica più a nord), ovviamente a base di Nebbiolo ed il cui disciplinare
prevede un affinamento minimo di 24 mesi (di cui almeno 12 in botti di legno);
per la tipologia Riserva l'affinamento minimo è di 36 mesi. "Rispetto alle Langhe, in
questa denominazione troviamo vini di notevole mineralità con più aroma che
struttura e con note di assonanza, anche dal punto di visto della geologia dei territori,
con i nebbiolo del nord Piemonte." (F. De Paola).
5. Tali vini
presentano, in genere, un colore rubino scarico, tendente al granato, che dopo
un buon periodo di affinamento sfuma verso l’aranciato; i profumi sono soffusi
maintensi, con sentori di frutta rossa
fresca, note floreali, speziate e di cuoio; al gusto spiccano sensazioni di
adeguata tannicità arricchite da un buon supporto di acidità e sapidità. Questi
vini ben accompagnano brasati, bolliti, arrosti, cacciagione, formaggi
stagionati a pasta dura come il bitto e il casera, oltre i classici
"pizzoccheri alla Valtellinese".
6. Le varie
sottozone della Valtellina Superiore conferiscono al vino caratteristiche
diverse, da ovest a est troviamo: Maroggia (dà vini freschi e di
grande freschezza aromatica); Sassella (dà un vino elegante e
austero dal grande potenziale in termini di longevità); Grumello (dà un vino
caratterizzato da una grande sapidità); Inferno (così chiamata per le alte
temperature estive; dà un vino più morbido e strutturato); Valgella (dà il vino
apparentemente meno complesso ma di grande bevibilità).
7. Lo Sforzato di Valtellina, noto anche come
“Sfursat di Valtellina”, è l'altra
DOCG della valle. Si tratta di un vino passito rosso secco prodotto dalla
raccolta di uve Nebbiolo nel mese di ottobre, cui segue un appassimento su
graticci in locali asciutti e ben areati, che dura anche più di tre mesi (il
termine "Sforzato" deriva proprio dalla pratica di forzare la
maturazione delle uve migliori lasciandole appassire per lungo tempo dopo la
vendemmia); la tradizionale vinificazione in rosso si prolunga per alcune
settimane, così da permettere una grande estrazione dei componenti delle uve; il
disciplinare di produzione prevede un affinamento minimo di 24 mesi (di cui
almeno 12 in botti di legno). Ne risulta un vino di notevole struttura,
importante tenore alcolico e grande morbidezza, dagli intensi sentori di frutta
sotto spirito, confetture di marasca e prugna, incorniciati da soffuse note
speziate di cannella e chiodi di garofano, cenni di cacao e tabacco. L'abbinamento
è con portate a base di carni rosse, selvaggina e formaggi lungamente
stagionati.
Per
concludere... Ecco alcuni tra i migliori produttori in base agli assaggi fatti
da me finora: Ar.Pe.Pe, Balgera, La Castellina, Nino Negri.
Spesso
mi chiedevo come i sommelier riuscissero a fare descrizioni così ampie e
variegate di un vino roteando il calice. All'epoca avevo meno di vent'anni ed i
miei "assaggi" fatti con gli amici erano rivolti più alla quantità
che alla qualità... il vino era semplicemente un tramite per il divertimento.
Finché un giorno, di ritorno da un viaggio in Umbria, i miei genitori vollero
farmi provare a pranzo una loro piacevole scoperta. Dalla bottiglia sgorgava un
vino cupo ed impenetrabile, importante al gusto e portentoso al naso. Ricordo
che fui ammaliato dai suoi sentori di frutti di bosco e spezie... allora
capii... capii che il vino poteva recare in sé un piacere intrinseco, capii che
non tutti i vini erano tra loro uguali. Quel vino riuscì a cambiare il mio
approccio al nettare di Bacco... quel vino era un Sagrantino!
1. Il Sagrantino è un vitigno a bacca rossa
tipico di Montefalco, piccolo comune in provincia di Perugia, e probabilmente
corrisponde all'uva hirtiola
descritta da Plinio il Vecchio nella "Naturalis Historia".
2. Questo vitigno
deve il suo nome al fatto che il vino prodotto era consumato in occasione delle
feste e delle liturgie sacre; tradizionalmente vinificato in versione passita (il
grappolo semispargolo e la buccia consistente dell'acino evitano, infatti, all'uva
di marcire durante l'appassimento), solo da pochi decenni viene prodotto in
versione secca. La vendemmia è, in genere, nelle prime due settimane di
ottobre.
3. Lo troviamo in
purezza nella DOCG Sagrantino di
Montefalco, il cui territorio si estende oltre che sul comune di
Montefalco, su parte di quelli limitrofi di Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castel
Ritaldi e Giano dell'Umbria. Per disciplinare l'affinamento minimo di questo
vino deve essere non inferiore a tre anni (di cui almeno uno deve avvenire in
botti di rovere).
4. Il diffuso
interesse riscosso dal Sagrantino, a partire dagli anni Novanta, è merito del
produttore Marco Caprai, il primo a
credere nelle potenzialità di questo vitigno, nonché a riuscire a limarne i
suoi potenti tannini (si tratta, infatti, di un vitigno ricchissimo di
polifenoli).
5. Dà vini che si
caratterizzano per il buon contenuto alcolico e l’elevata dotazione di estratto
e polifenoli, caratteristiche che ne consentono un lungo invecchiamento. La
versione "Secco" ha di solito un colore rosso cupo ed impenetrabile, con
riflessi tendenti al granato in seguito all'affinamento; al naso esprime
intensi sentori di frutti di bosco e prugna, liquirizia, vaniglia e altre
spezie; è di grande struttura e persistenza al gusto, dove spicca una fitta trama
tannica. Nel "Passito" trovano esaltazione i sentori di frutta
matura, confettura di frutti di bosco e spezie, mentre al palato la contenuta
dolcezza ben bilancia l’imponente struttura tannica.
6. Quando secco,
lo si abbina felicemente ad arrosti di carne rossa, selvaggina, brasati e
stufati; con il passito abbineremo, invece, una crostata con confettura di more
selvatiche o del cioccolato.
7. Per chi volesse
fare una full immersion nel
territorio dove nasce il Sagrantino, è da sapere che ogni anno, nel mese di
settembre, il comune di Montefalco ed il Consorzio Tutela Vini Montefalco organizzano
"Enologica Montefalco":
una manifestazione tutta da gustare, che offre agli avventori un ricco
programma di degustazioni e visite presso le cantine e i borghi che hanno fatto
la storia di quest'importante vino.
Per concludere... Ecco alcuni tra i migliori
produttori in base agli assaggi fatti da me finora: Antonelli, Bea,
Arnaldo Caprai, Còlpetrone, Lungarotti, Pardi, Perticaia, Romanelli, Scacciadiavoli, Tabarrini.
Era
il marzo del 2011, quando per lavoro mi recai per la seconda volta ad Udine. In
quei giorni, nel tardo pomeriggio, ero solito concedermi una passeggiata lungo le
bellissime e candide vie del centro, che si concludeva con una piacevole sosta in un bar di
fronte palazzo Belgrado (sede della Provincia). Proprio lì alcuni amici del
luogo, sapendo che frequentavo da poco un corso per sommelier, vollero divertirsi
offrendomi l'assaggio di un calice di bianco. Con mio e loro stupore (per chi si sta approcciando ai rudimenti della degustazione è una piccola soddisfazione!) riuscii ad
identificare alcuni sentori di quel vino riportati in etichetta... si trattava
di un Friulano!
1.
Il Tocai Friulano è un vitigno a
bacca bianca ampiamente diffuso nel Friuli ed al quale si attribuiscono anche
proprietà taumaturgiche, da cui il detto "cul
Tocai a sparissin duc'i mai" (ossia, "con il Tocai spariscono
tutti i mali").
2.
L'origine di questo vitigno è stata a lungo discussa ma, a quanto pare, studi genetici
ne hanno rivelato una coincidenza con il Sauvignonasse,
vitigno francese un tempo diffuso nella zona di Bordeaux e man mano abbandonato
a favore del Sauvignon Blanc, con il quale probabilmente arrivò in Friuli a
metà dell'Ottocento.
3.
Il grappolo è piuttosto compatto e presenta due ali; l'acino mostra una buccia
leggera, non particolarmente spessa: fattore che, unito alla compattezza del
grappolo, rende questo vitigno molto sensibile alle piogge durante l'epoca di
maturazione (che avviene nella prima o seconda decade di settembre). L'epoca di
germogliamento è, invece, tardiva: ciò mette al riparo questo vitigno da
eventuali gelate primaverili.
4.
Lo troviamo in purezza in quasi tutte le DOC friulane, nella DOCG interregionale Lison
e in alcune DOC venete.
Il Tocai Friulano, inoltre, concorre (in misura non inferiore al 50%) nella
DOCG Rosazzo.
5.
Attualmente l'Unione Europea ha vietato l'utilizzo del termine
"Tocai" per indicare il vino ottenuto da questo vitigno (indicato ora
solo con il termine "Friulano" o "Tai" in Veneto), al fine
di evitare nel consumatore errori di confusione con il famoso Tokaji ungherese
(vino il cui nome richiama una regione storica dell'Ungheria e che si ottiene
perlopiù dal vitigno Furmint).
6.Dà un vino fine e delicato, con note fruttate e sentori di fiori di campo, fieno
ed erbe aromatiche; pieno e strutturato in bocca, ha di solito una buona
alcolicità, una fresca vena acida, una consistente morbidezza e un’elegante
sapidità finale; non disdegna un modico affinamento in bottiglia: dopo due o
tre anni dalla vendemmia esprime, infatti, tipici sentori minerali e un finale
di bocca che ricorda la mandorla amara.
7.
Il vino che se ne ottiene ben si abbina, quindi, a piatti di mare, carni
bianche, frittate di verdura e prosciutto crudo.
Per
concludere... Ecco alcuni tra i migliori produttori in base agli assaggi fatti
da me finora: Gigante, i Clivi di Ferdinando Zanusso, Le Vigne di Zamò, Miani, Tenuta Luisa.